13 luglio 2015

Taramosalata [ NYC #52 ]

Scrivere, e pure fare l'amore


Brooklyn, stazione di Bay Parkway e vista su Washington Cemetery, cimitero ebraico
"Grandissimo blogger". Addirittura. Lui le parole sa usarle, ma forse intendeva grosso. "Profondo, utile ed intelligente". Adesso è chiaro: sta parlando di me ma non sta pensando a me. "Unico difetto...". Vai, ecco che arriva il missile. "Sei troppo prolisso. Mai più di 1800 caratteri. Mai. Mai. Fidati. Piuttosto spezza il pensiero. Baci". Che faccio? Prendo i baci e tutto il resto. Immagino che CarloBV mi voglia bene e voglia il mio bene. Per questo farò una copia di quel messaggio, prima che affondi tra i tanti su Facebook. E continuerò a scrivere senza spezzare pensieri o contare parole.

Per il mio professore di italiano, ai tempi del liceo, io non sapevo scrivere. Per prendere uno straccio di sufficienza dovevo ingegnarmi, e quasi sempre non bastava nemmeno. Fingersi craxiani era una via come un'altra. Così come sposare acriticamente qualunque concetto che fosse accompagnato dall'aggettivo "palestinese". Erano pur sempre i tempi in cui Craxi e Arafat erano buoni amici. E Forattini disegnava Spadolini su una sedia a rotelle, spinto in mare come il povero Leon Klinghoffer, l'ebreo americano ucciso da terroristi palestinesi durante una crociera della Achille Lauro. Per settimane avevo provato a raccogliere materiale e documenti vari. L'obiettivo era quello di scrivere un tema che parlasse della questione palestinese spiegando le ragioni degli israeliani e quelle dei palestinesi. Lo sforzo era stato grande ma non premiato: il voto fu una quasi sufficienza. Come dire: capisco che hai lavorato ma è solo colpa tua se non ci arrivi. Oggi sarebbe lo stesso se provassi a scrivere le ragioni della Merkel e quelle di Tsipras, e se provassi a guardare oltre la contrapposizione Greecia-Germania: non arriverei alla sufficienza nemmeno se dimostrassi d'essere stato presente durante le trattative. Quel giorno ho capito che non solo provare ad essere obiettivi, ma anche solo provare ad osservare la stessa cosa da più punti di vista serve a una benamata mazza. E tu che leggi, ovviamente, sei davvero libero di pensare il contrario.

Col tempo, sapere o non sapere scrivere è diventata soprattutto una questione di sopravvivenza professionale. Scrivere una storia come la racconterebbe il tuo cliente ma senza umiliare troppo la grammatica. Scrivere pesando le virgole nel tentativo di mediare tra i partner incompatibili di un progetto. Scrivere sempre, solo e comunque per vendere. V-E-N-D-E-R-E. Ché solo di quello si tratta quando scrivi per lavoro. Tu non dai consigli, non spieghi come funziona qualcosa. Tu hai in testa solo il tuo bonifico a buon fine.
Se scrivere è un compromesso, o uno scudo spaziale che ti aiuta a pagare le bollette, quando scrivi per il tuo puro piacere mandi al diavolo le regole. Anche quelle che farebbero un gran bene al tuo narcisismo, portandoti quei milioni di lettori che TU meriti, possibilmente di quelli che pagano pure.
Spezza il pensiero, dice lui. Come fare l'amore e concentrarsi sulla respirazione diaframmatica per il terrore di una prestazione troppo veloce. Non fa per me.

Quando scrivo per il mio blog io voglio distrarmi. Voglio farmi trasportare dalla prima cosa che mi passa davanti al naso. E poi voglio iniziare a seguire quel filo, fino a quando si ingarbuglia con altri e mi ci strozzo dentro con le mie mano (non mani, l'errore è voluto). Non so Zurigo, ché non c'ho mai messo piedi, ma New York è manna dal cielo per uno con tendenze al caos narrativo. Un esempio? Pensa a: un tappeto, una radiosveglia, uno scanner, una lampada a piantana, tre libri su Marcel Duchamp. Certo che c'è un filo che li lega. E devi nemmeno alzare il naso poi così tanto per trovarlo. Guarda sempre dove i metti piedi e butta l'occhio lungo il marciapiede. La gente lascia di tutto per strada, spesso in buone condizioni, e chiunque può prenderlo. Duchamp e la radiosveglia sono il mio premio per aver lasciato un divano letto Ikea con tanto di fodere di ricambio e istruzioni per il montaggio.
Una volta salivo su un treno per Milano, mi facevo ispirare dalle risaie vercellesi e poi riempivo un foglio bianco prima di spedirlo. Adesso prendo la metropolitana per Coney Island e magari mi ispira quello che vedo sul tetto di una casa quando lasciamo la galleria.

E che c'entra tutto questo con la taramosalata del titolo? Niente.
Ho solo scoperto che crea più dipendenza della Nutella.

[Questo post è dedicato a Carlo BV, che è davvero una bella mente. E a Davide P, anche lui una bella mente. E che, quanto alla lunghezza dei miei post, la pensa esattamente come Carlo].

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