05 agosto 2014

Spada Il Pesce [ NYC #35 ]

Sfido chiunque altro a fare delle bolle gigantesche di sapone come quelle che fa la mia Ragazza Dai Capelli Rossi. "Noooo!!! Guarda che roba!!". Strabuzzo gli occhi e non riesco a trattenere il mio stupore! Nemmeno ora che scrivo e ci ripenso! Anche il Piccoletto esprime la sua meraviglia quando vede le bolle che mamma riesce a fare. Ma lui con quelle urla acute di gioia che avranno sicuramente svegliato il figlio dei vicini, di un anno più grande, mentre noi abbiamo preso questa insana piega estiva per cui prima delle dieci non se ne parla di metterlo a letto, anche perché prima siamo sicuramente da qualche parte in metropolitana o a mangiare za'atar libanese guardando il tramonto sulla baia. Questa sera siamo a casa e abbiamo finito cena da poco. E siamo tutti belli contenti.
Fare le bolle di sapone è un'arte. A quanto pare io non la conosco manco di striscio. Le mie bolle fanno schifo, sono piccole quando va bene e sembrano dei dodecaedri quando non so nemmeno io come sia stato possibile farle venir fuori in quel modo. "Dipende da come soffi", mi dice la Ragazza Dai Capelli Rossi. Figurati se il problema non era di nuovo quello. Ieri pomeriggio avevo provato a suonare il suo flauto. Suonare è un termine forte, ok. Diciamo che avevo almeno provato a soffiarci dentro. Il piccoletto lo aveva indicato lassù, sulla libreria. Credo lo abbia anche nominato ma io ci ho messo un po' a capire. Nonostante dica ancora poche parole, la sua pronuncia inglese è comunque migliore della mia, poche palle. Quando indico il suo piedino io dico "to", mentre lui mi fissa e riesce tranquillamente a dire "toe". A mia parziale giustificazione vorrei portare, se posso, la mia non più giovane età per imparar le lingue e il fatto che la pronuncia newyorchese, quel miscuglio creato dagli immigrati irlandesi, dagli ebrei scappati dall'Est Europa e dagli italiani scappati dalla loro miseria, è anni luce lontana da quella roba che ci insegnava alle medie l'insegnante d'inglese di cui sbirciavamo le gambe sotto la cattedra. Fugghedaboutit.
Recupero la custodia del flauto e provo a montarlo. Disastro, non riesco nemmeno a far combaciare i pezzi, vergogna... Lo impugno e sembra anche che faccia la mia porca figura, riesco a darmi un'aria. Appena provo a soffiare capisco invece che sono negato, proprio come ai tempi famosi delle medie, sempre loro, con quel f*##!#o flauto dolce che avrei voluto sfasciare in mille pezzi o infilar... Allora, dicevo. Soffio nel flauto che la mia Ragazza Dai Capelli Rossi usava ai tempi in cui frequentava l'Università del Nord Texas e imparava a comporre musica per grandi orchestre jazz prima di studiare cucina francese e aprire la sua impresa di catering e ancora non sapeva che si sarebbe trasferita da Miami a Torino e poi a New York come niente fosse (oh, gente, mica cazzi. Scritto tutto d'un fiato, tanto per stare sul pezzo). E che succede? Un bel niente, zero suoni. A meno di non voler considerare suono quel rantolo che ho emesso e che sarebbe stato più appropriato per un anticipo di collasso. In compenso siamo scoppiati tutti a ridere e non riuscivamo a fermarci, perché non c'era verso che riuscissi a farlo suonare. Ci ho provato per cinque minuti buoni, rischiando qualcosa di simile ad un infarto, ne sono certo, con la Ragazza Dai Capelli Rossi che provava inutilmente, povera, a farmi capire come usare le labbra, come se già non sapesse che con le labbra, io, me la cavo niente male... Tse!
L'ultima volta che ho pensato che avrei voluto suonare uno strumento era quando con Gattaccio comprammo le armoniche a bocca. L'idea era quella di imitare i sassofonisti parigini sulla Senna. Avevo quest'immagine di un film con Harrison Ford (non ricordo il nome e non ho voglia di cercarlo) e di un sassofonista di fronte alla Statua Della Libertà, quella piccina a Parigi, non quella che i francesi hanno regalato agli americani e che io adesso indico al mio Piccoletto quando ce ne andiamo a giocare a palla al giardino botanico di Bay Ridge. Pensando a questo sassofonista pensavo che io e Gattaccio avremmo potuto tranquillamente suonare le nostre armoniche al fondo dei Murazzi, sotto il ponte di Corso Regina (che, solo per i non torinesi, è Corso Regina Margherita). Non lo abbiamo mai fatto, accidenti alla nostra pigrizia. Come non abbiamo mai tradotto in pratica la buona intenzione di fare canottaggio lungo il Po, un po' per pigrizia e un altro bel po' perché il portafoglio non condivideva il nostro entusiasmo per le regate nei nebbiosi pomeriggi d'autunno.
La prossima volta che Gattaccio verrà a trovarci a New York gli farò una proposta per arrotondare. Mi è venuta in mente domenica scorsa, perché in un pomeriggio siamo stati fermati dai turisti ben sei volte per dare indicazioni. Piazzarci sulla High Line, all'altezza della 23rd Street. In quel punto i turisti a spasso per il giardino newyorchese più figo di tutti si fermano per fotografare la strada e per farsi autoscatti improponibili. Adesso nemmeno in italiano puoi più dire autoscatto (io ne facevo a bizzeffe con i miei amici, auto-affibbiandomi il soprannome di "giapponese"). Ora tutti si fa il selfie e la colpa non è solo di Obama. L'idea è quella di metterci addosso un cartello tradotto in più lingue, supplicando i turisti di non farsi quegli autoscatti orrendi che schiacciano le loro facce contro i microscopici obiettivi dei loro pur potenti smartphone. Venissero da noi, invece, che gliela scattiamo noi la foto, per miseri cinquanta centesimi, ché quei selfie passeranno pure di moda, mentre un bello scatto li rende immortali (tranquillo, amico Sandro, non intendiamo rubarti il mestiere... Magari ti diamo un'idea, hai visto mai). Da una prima analisi di mercato assolutamente empirica, visto il numero impressionante di turisti che nel fine settimana si ferma in quel punto della ex ferrovia in sopraelevata, in tre ore di lavoro si potrebbe incassare quanto basta per un monolocale giusto lì a Chelsea. E poi non dite, amici, che non vi regalo idee spettacolari per mettere in bella mostra la vostra vena creativa, soddisfare una clientela globalizzata e venire per un po' nella "Greatest City In The World", come dicono gli spot radiofonici di One-0-One (quella vera, non quella che ha scopiazzato anche i jingle musicali).
Sposando una ex musicista e compositrice, e che è anche una ex cuoca, non ti rimangono molte alternative per sbizzarrirti davanti a lei con la tua creatività, visto che tu, a parte usare un cellulare per scattare i selfie agli altri, fai pure schifo a disegnare ed è meglio che non canti nemmeno al mattino quando ti fai la barba. Potrei forse inventare qualche storia per il nostro Piccoletto, ma ora lui si addormenta facendosi leggere le sue storie preferite, che vanno da "Old Mikamba Had A Farm" fino al manuale per insegnare ai bambini come si gioca a basket, passando per "Goodnight Galaxy". Non c'è sera in cui lui non cerchi la Luna tra le pagine di tutti i suoi libri o non indichi, tra le stesse pagine di alcuni di questi, la replica della "Starry Night", davvero onnipresente. La mia creatività si limita ad ascoltarlo e a seguirlo nei suoni che ripete lui. Se il Piccoletto dice Bobby Doggy, io salto sul suo treno e gli dico che quel quadro che a lui piace tanto tanto lo ha dipinto un signore olandese che si faceva chiamare Vinnie Van Goggy... (Shame on me).
Così, nell'attesa che la mia vena creativa trovi sfoghi più dignitosi, ho preso il coraggio a quattro mani davanti alla ex cuoca e ho deciso di mettermi a cucinare, cosa che una volta facevo regolarmente, anche per prepararmi un risotto a mezzanotte, e che ora ho delegato alla mia Ragazza Dai Capelli Rossi senza alcun pentimento.
Chiedo subito scusa in anticipo a Filippo La Mantia se, per sbaglio, finisce su questo post e legge cosa ho fatto. Lui odia il soffritto. Magari c'ha pure ragione, magari il soffritto ammazza i sapori, sarà vero. Ma io, da buon emigrante fortunato, non ho resistito. Prima, giù di cipolla ed aglio.  Poi il mio pesce spada tagliato a dadi, fatto rosolare per un po' a fiamma alta. E, per finire, i pomodorini. Pasta bella e pronta, a tavola! Scusami Filippo: non sarei mai bravo come te a fotografare (la cosa dei selfie è indicativa) e anche in cucina sarebbe meglio se me ne stessi alla larga. Ma sai che ti dico? Che fino a quando il mio Piccoletto e la sua mamma fanno buono-buono con il dito sulla guancia, anche io mi proclamo l'Uomo Più Felice Della Terra. E non devo nemmeno inventarmi la storia di Spada Il Pesce per metterli a nanna.

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