08 luglio 2014

Scrivania con vista grattacieli [ NYC #34 ]

Alzo lo sguardo. Il termometro dice che ci sono 98º F alle 3:33. Continuo a camminare. Finora, lungo la mia strada ho già contato: una pizzeria "Benevento", un negozio di video porno che garantisce di avere i prezzi più bassi della città, un'officina dove comprare vecchie macchine delle polizia, un negozio per noleggiare piattaforme autosollevanti e tutto quello che può servire in edilizia, una palestra dove i battitori di baseball si allenano dentro gabbie, un magazzino dove comprare polli ancora vivi, anche loro in gabbia, e il cui puzzo riesce pure a coprire i gas di scarico che cadono sulla lunga Avenue dall'altrettanto lunga autostrada che la sovrasta e la insegue per alcune miglia. Dopo un'altra ora a passo deciso, arrivo finalmente a destinazione. Scelgo il mio tavolo e mi siedo dove l'ombrellone crea un piccolo spicchio d'ombra pur lasciando filtrare il sole. Con il brusio vale lo stesso un minuto di silenzio alla memoria? A metà pomeriggio la "expressway" che sta alle mie spalle è express solo di nome. Soprattutto in direzione Queens, il traffico sull'autostrada che separa il quartiere benestante di Brooklyn Heights dalla baia è decisamente lento. Sarà forse perché alle macchine sono abituato da sempre, ma non ne sento il rumore, e non solo perché queste si muovono a malapena in un mezzo ingorgo. Da qualche mese, soprattutto quando vengo qui, sto anche abituandomi ad un nuovo tipo di rumore, che ormai considero quasi bianco, un rumore nuovo almeno per me: quello degli elicotteri.
Dai tavoli che si affacciano lungo tutto il Brooklyn Bridge Park, e che la domenica sono affollati di famiglie che vengono anche qui a fare il barbecue, si può osservare una cartolina newyorchese della Manhattan più classica, che va dal Ponte più famoso della città al Chrysler Building, all'Empire State Bulding e ritorna al World Trade Center. È una cartolina mobile, perché non solo c'è un via vai di battelli, traghetti, navi da crociera e chiatte di ogni dimensione, ma anche un continuo passaggio di elicotteri che atterrano e decollano nello spazio del distretto finanziario. Nelle giornate in cui arriva in città Obama (si, proprio il Presidente con la O maiuscola) o qualche altro pezzo grosso alle Nazioni Unite, non c'è speranza di riappropriarsi di qualcosa che assomigli anche solo lontanamente ad un paesaggio silenzioso. New York è la città che non dorme mai? Ti credo, con 'sto casino infernale. In estate, poi, abbandona la speranza di un riposo ovattato. Come se durante la giornata non ti fossero bastati il frastuono nelle stazioni della metropolitana al passaggio dei treni; le sirene delle ambulanze, dei pompieri e della polizia; le sirene degli allarmi antincendio casalinghi (cui  non fai caso, perché sai che nel 90% dei casi non è fuoco ma solo qualcuno che sta bruciando la sua pizza nel forno); come già non bastasse tutto questo per renderti quasi sordo e rincoglionirti al punto di credere che la musica in cuffia possa solo farti bene, perché ti isola dai rumori non desiderati, al tuo rientro a casa troverai anche il ronzio dei condizionatori. Perché a meno che tu non abiti in qualche condominio di lusso, o anche solo in qualche palazzo che sia stato costruito almeno nell'ultimo decennio, per avere aria fresca dovrai fare i conti per tutta l'estate con il motore sempre in movimento di un condizionatore attaccato alle finestre delle tue stanze. L'installazione di questo strumento di tortura per le orecchie, necessaria per non fare sudare pure loro, è abbastanza banale: apri la finestra scorrevole, appoggi questo pesantissimo baule alla finestra (qualche volta, quando il condizionatore supera un certo peso, ti vendono anche un apposito supporto regolabile che si appoggia al muro esterno), richiudi la finestra abbassandola, avviti le estremità del baule alla finestra e copri l'inevitabile spazio laterale con delle fisarmoniche in plastica che non si preoccupano troppo di isolare il calore esterno ma almeno fermano mosche e zanzare. Questo portentoso sistema di condizionamento dell'aria, figlio bastardo non riconosciuto della sostenibilità ambientale, quando si affaccia lungo la strada può diventare un efficace sistema per uccidere qualcuno tra i milioni di inermi che, come noi, si ostinano a camminare sui marciapiedi. Anche alla stabilità dei condizionatori sospesi alle finestre nessuno fa caso. Ma io credo che farò il conto alla rovescia sulla fine dell'estate, quando porteremo i nostri bauli refrigeranti  in cantina e potrei di nuovo essere in grado di sentire anche i rumori appena percettibili, tipo il mio respiro.
La cartolina mobile e caotica che mi si para davanti, con il suo orizzonte larghissimo, è perfetta per lasciare espandere le idee, soprattutto quando è la creatività che deve lavorare. Se poi non fosse per il vento, che soffia anche nei pomeriggi più caldi, i tavoli lunghi sarebbero perfetti per srotolare un papiro e disegnarci sopra il riassunto dell'ultimo mese, un percorso irregolare di dozzine di telefonate, mail e messaggi vari carichi di parole e numeri. Mentre cerco di seguire una logica, e provo a unire i punti di questa comunicazione resa ancora più intermittente dalla distanza tra Continenti e dal fuso orario, mi tornano alla mente i pomeriggi passati a lavorare nel mio caffè preferito a Torino. Un posto perfetto, anche se i tavolini erano piccoli e le sedie scomode. Perfetto perché vedevo la città scorrere fuori, sentivo il rumore dei tram, mi facevo distrarre dalle gonne corte portate dalla primavera e cercavo con lo sguardo gli zampilli della fontana all'altro lato della piazza. Era un bar perfetto, anche se si portava appresso il peccato originale di un nome italiano dato ad una catena di caffè nata in Spagna. Perfetto perché era frequentato dalle persone più disparate e c'era sempre un tavolino occupato tutti i pomeriggi da un gruppo assortito di pensionati. Ma, a quanto pare, non era così perfetto per i suoi proprietari, che qualche giorno fa hanno deciso di chiudere per sempre quel punto della catena. Non so la ragione di questa decisione. Immagino abbiano fatto i loro calcoli, anche a costo di lasciare a casa dei dipendenti, i quali erano tutti in regola e questo, si, lo so per certo: i proprietari non potevano permettersi, come molti dei loro concorrenti nel centro cittadino, di avere dei lavoratori in nero e questo avrà sicuramente inciso sulla redditività già non particolarmente elevata. So che anche se ora vivo lontano, quel bar, il mio "ufficio", mi mancherà. E ora vorrei davvero dedicargli un minuto di rispettoso silenzio. Ma sento che sta atterrando l'ennesimo elicottero. Per questo, metto le cuffie alle orecchie e alzo il volume.

Nessun commento:

Posta un commento