06 maggio 2014

La Verità senza palla [ NYC #32 ]

La verità è che quando hai superato di dieci anni il mezzo del cammin della tua vita, dovrebbe essere scontato avere un po' di ritegno. Se poi sei alla festa per il secondo compleanno di una bimba simpatica che divide alcuni pomeriggi con il tuo piccoletto, il tuo contegno dovrebbe essere quello tipico del buon padre di famiglia, premuroso verso tutti pargoli presenti, pronto a correre dietro ogni loro richiesta, attento a non versare liquidi sul pavimento e nemmeno troppo attirato dal buffet, anche se ci sarebbero quelle alette di pollo piccanti, ché difficilmente la festeggiata e i suoi amichetti mangeranno. E invece? La Verità è una stoppata semplicemente stellare all'ultimo secondo utile.
"Ma vieni!!! Go!!!". Non bastasse l'imbarazzante esclamazione, scatto dalla sedia come un grillo, manco avessi avuto una molla sotto il sedere, braccio alzato e pugno chiuso degno di migliori cause. Mi fissano tutti, immagino che lo stia facendo, dalla sua sedia a rotelle, anche la bisnonna materna della piccola festeggiata, che però io non riesco a vedere. Qualcuno, forse, avrà pure pensato che sono un intruso alla festa, dove i parenti della mamma di questa incantevole bimba parlano cinese e quelli del papà spagnolo, per cui con il mio inglese italianizzato, e al fianco di una ragazza dai capelli rossi, ero passato inosservato sino a quel momento. "Yeah, I'm really sorry! You know... I mean... Italians are passionate...". Mi ricompongo e cerco di darmi un tono più decoroso. Ora posso lasciar perdere il televisore, che mi ha reso strabico nell'ultima mezz'ora, e dedicarmi esclusivamente ai bimbi. Adesso sono pronto a riprendere la nostra palla e a farla girare a terra, per l'ennesima volta, come fosse una trottola. E la festeggiata ride di nuovo, sempre nello stesso identico modo, come aveva già fatto nelle altre venticinque volte in cui avevo esibito questa abilità, che un giorno, di sicuro, mi renderà un Dio invincibile tra i bambini del Mondo. 
Ma la Verità è che qui, in questo reale piccolo pezzo di Mondo che è Brooklyn, l'unico Dio con la palla, e pure senza, è Paul Pierce.
Paul Pierce, che a Toronto, in un'arena stracolma di canadesi urlanti da più di due ore, è riuscito ad ammutolire i tifosi di casa. Quando Kyle Lowry, a soli 6 secondi dalla fine di una partita che vedeva Brooklyn avanti di un misero punto sui Toronto Raptors, è riuscito, nessuno sa come, a infilarsi nell'unico spazio libero davanti al canestro difeso dai Nets ed è riuscito pure a tirare... In quell'istante, in quell'insignificante istante, l'ex gloria dei Celtics, che da quest'anno gioca con la maglia nera e bianca di Brooklyn, si è alzata davanti a lui e ha stoppato la palla. 8 anni e 17 centimetri in più sono caduti come un masso su quello che forse era stato il giocatore migliore delle sette gare tra le due squadre. L'istante successivo al fulmine su Lowry è stato tutto per la sirena di fine partita e per il mio balzo dalla sedia, che come minimo avrà eguagliato quello del miracolo di Pierce. I Nets, dopo aver quasi interamente dilapidato negli ultimi tre minuti di gara 7 un vantaggio costante di 10 punti, riescono a vincere la serie 4 a 3 e vanno alle semifinali della Eastern Conference della NBA. Ma l'onore di questa serie interminabile va tutto ai giovani Raptors. Se a fine partita DeMar DeRozan, altro campione puro di Toronto, si è piegato sul suo compagno letteralmente schiantato a terra e ha provato in tutti i modi a consolarlo (e quasi a rianimarlo), le cronache dei giornali canadesi dicono che negli spogliatoi Pierce sia andato a consolare Lowry e a complimentarsi con lui e i suoi compagni di squadra, prevedendo che il futuro sarà certamente dalla loro parte. E così ha fatto anche Jason Kidd, ex giocatore e ora allenatore dei Nets. Kevin Garnett, l'altra epica gloria di Boston arrivata pure lui a Brooklyn quest'anno per ricreare coppia con Pierce, ha invece tributato gli onori ai tifosi di Toronto, dicendo che, dopo tanti anni di carriera, era la prima volta che sentiva di nuovo un'arena così rumorosa e attaccata ai propri giocatori. E se si tiene presente che lo stesso Kevin Garnett, qualche giorno fa, ha praticamente cazziato il pubblico di Brooklyn, invitandolo a farsi sentire di più durante le partite casalinghe... Beh! Kevin, a.k.a. "Big Ticket", ancora non sa che il nostro piccoletto ha un pupazzo che lo rappresenta, quasi come quelli usati nelle macumbe: magari non sarà fedele nei lineamenti, ma ha tanto di storica maglia numero 2. Ci provi Kevin a cazziarlo e a dire al nostro piccoletto che lui non urla abbastanza. Auguri.
La verità è che, ora che ci sono i playoff, le partite di basket NBA sono davvero un'altra cosa, roba da far saltare nervi e coronarie. Giusto un mese fa, quando con l'amico "Gattaccio" siamo andati a sprofondarci nelle poltrone del Barclays Center, a parte i 4 tizi davanti a noi che avranno speso qualche centinaio di dollari in cibo e birra, abbiamo visto anche un'agevole vittoria dei Nets contro gli Houston Rockets, pur forti nella loro Western Conference: partita combattuta, ma senza particolare cattiveria, visto che si era quasi alla fine della stagione regolare e tutte le squadre giocavano facendo calcoli ai limiti della sportività per piazzarsi nella parte comoda del tabellone dei playoff o per avere le migliori probabilità di pescare, ai prossimi draft, i giocatori universitari più ambiti. Adesso non c'è più nemmeno il tempo,  per i calcoli. Le malizie, al massimo, sono solo quelle che portano i tuoi avversari a cascare sempre nello stesso tranello con cui ti fai fischiare un fallo a favore. Ma il combattimento, perché davvero tale è la partita, vede colpi pesantissimi e, a volte, pure sangue (che in tivù alza l'audience, si sa). Per questo gli arbitri, al primo contatto, fischiano delle robe che durante la stagione regolare non se le filerebbe nessuno, e a metà gara anche i giocatori migliori e più corretti si ritrovano già con tre falli, sufficienti a sbollire gli spiriti.
Da martedì sera, per i Nets, il gioco si farà ancora più duro e non è un modo di dire così retorico. Sono previste scintille pure nella nostra famiglia. Si, perché la prima semifinale della Eastern Conference sarà tra i Nets e gli Heat. Pochi dubbi che la ragazza dai capelli rossi tiferà per Miami e che io e il piccoletto non avremo questa maggioranza così schiacciante. 
Altre previsioni? 
Per Miami non sarà semplice. Durante la stagione regolare, nelle quattro gare in cui le due squadre si sono affrontate, Brooklyn ha sempre battuto Miami e LeBron James, come da storica tradizione, ha sofferto tantissimo Paul Pierce. 
E per i Nets? Per i Nets è arrivato il momento della verità. La stagione regolare conta niente, ora siamo alla resa dei conti, al "Win or Go Home". I Nets, che dopo una partenza terribile e del tutto imprevista in autunno, hanno poi piano piano recuperato terreno, sono stati costruiti con un unico obiettivo: battere Miami e vincere il campionato. Per questo sono stati acquistati due giocatori non più giovani e quasi a fine carriera come Kevin Garnett e Paul Pierce, bestie nere di Miami. Assai probabile che la vittoria del campionato non arriverà, ma ora davanti a Brooklyn c'è davvero Miami. Ed è proprio arrivato il momento della Verità.
Come tutti i giocatori NBA, anche Paul Pierce, da sempre maglia numero 34, ha un soprannome.  Quel soprannome, da sempre, è uno solo: "The Truth", la Verità.

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