11 aprile 2014

Tutta mia la città [ NYC #30 ]

Quando mi lascio l'aeroporto alle spalle, so già che quello che mi aspetta sulle tre corsie della Belt Parkway sarà nient'altro che traffico. È tardo pomeriggio e, a dire il vero, avrei pure  scavallato il picco dell'ora di punta di quel soffio sufficiente per non rimanere imbottigliato. Ma l'oscurità accelerata dalla pioggia battente, e l'acqua sull'asfalto che è precario di suo anche in una giornata torrida, rallentano la marcia dei pendolari in direzione Staten Island. La consolazione inestimabile è che almeno non siamo fermi, ci muoviamo comunque tutti quanti, ad andatura regolare, perfetta per tirare il fiato e arrotolare il nastro degli ultimi dieci giorni. Sono stati quasi senza pausa, e lasceranno pure un po' di malinconia, so già anche questo. Come sapevo che venendo a vivere quaggiù, la famiglia e gli amici lasciati in Italia ci sarebbero mancati maledettamente e quella mancanza l'avremmo sentita ancor di più quando qualcuno di loro fosse venuto a trovarci. Così è stato. Quando vedo la sagoma sfocata del Ponte di Verrazano mi si chiude lo stomaco, sono quasi a casa.
Quello che non sapevo è che nella mia naturale ossessione quotidiana di integrarmi il più possibile qui in America — un'ossessione fatta, tra le tante, di letture bulimiche, film ospitati su server lontani anni luce, caffè a galloni, battute con gli sconosciuti e parecchie miglia di marciapiedi — in appena un anno avevo accumulato davvero una considerevole conoscenza della città che ora inizio a chiamare casa. Considerevole, ma potrei quasi esagerare e dire notevole. Ma si, al diavolo la falsa modestia, ginnastica in cui in un vero torinese sa eccellere meglio di chiunque altro; e al diavolo pure la modestia necessaria, quella cautela che ti aiuta a non prendere cantonate e a non sembrare sbruffone tra gli sbruffoni, anche quest'ultima un'eccellenza piemontese molto più delle nocciole (le quali, però, non sono autolesioniste come i piemontesi e si lagnano assai meno dei torinesi per l'interminabile lista di presunti scippi subiti nei secoli). Questa considerevole conoscenza di New York, con buona probabilità, non darà particolari scosse al conto in banca e non ci costruirò sopra un impero da nuovo Mogul dell'informazione. Ma spiega perché non avverto più quella vecchia sensazione di spaesamento e perché non mi perdo più dietro l'idea delle radici. Si, certo, te lo spiegano in tutte le lingue che in questa città è difficile sentirsi stranieri, ma superati di parecchio i 40 si diventa più duri di comprendonio.
Chiunque voglia venire a New York troverà, con un minimo sforzo e un collegamento a internet, non solo facili indicazioni per tutte le più ambite attrattive turistiche della città, così come descritte in qualunque pellicola hollywoodiana (perché sono i californiani che sanno venderti qualunque cosa, compresa qualunque idea tu abbia dell'America), ma anche qualche dritta per trovare una statua di Lenin sul tetto di un condominio nella Lower East Side. Ma, in effetti, quanti saprebbero trovare un forno tradizionale uzbeko in una panetteria del Queens o un centro culturale per i musulmani di Crimea in una delle enclave ebraiche ortodosse di Brooklyn? E un bagno con tanto di fasciatoio a Midtown senza doverti bere un caffè o fare una coda interminabile? Cose sconosciute anche a tanti newyorchesi da generazioni, tse! Chi pensa sia roba da braccia-rubate-all'-agricoltura magari avrà pure ragione, ma penso sia solo finito sul blog sbagliato. Gli basta cliccare la freccia in alto a sinistra per salvarsi e tornare indietro: ciao, grazie anche a te per aver fatto visita a questo diario. A me basta aver capito che in questa città, chi le possiede davvero, le informazioni se le tiene strette come un portafoglio. Anche per questo, a breve, arriveranno dei gabinetti a noleggio per l'intera giornata e sparsi per mezza Manhattan, buoni per chi, quel portafoglio, lo abbia gonfio di soldi e voglia contribuire all'ingegnosa economia cittadina.
Gattaccio, amico mio, avevi ragione tu, niente Metropolitan o MoMA. Che cacchio ci viene a fare a New York, un turista, se poi  si chiude dentro un museo per vedersi una tela di Fontana, identica alle altre 100 sparse per il Mondo? Almeno approfitti dello sponsor che il venerdì pomeriggio gli regala l'ingresso. Io continuerò a farlo, di sicuro.

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